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il SOLE 24 ORE per l'articolo completo vai al sito http://www.ilsole24ore.com2008-12-23 Madoff, la catena dei miracoli di Claudio Gatti 23 DICEMBRE 2008 "La due diligence ci ha detto tutto" Ceretti, Grosso e i fondi comprati dalla Lodi "Visitare la sede? Non era permesso" Le porte girevoli di Fim e Kingate Sulla grande truffa di Bernard Madoff c'è ancora molto da scoprire. E di voci ne girano tante. L'ultima, raccolta da Il Sole 24 Ore in ambienti istituzionali, riguarda una possibile pista russa: Madoff sarebbe cioé stato costretto a confessare per timore della reazione di alcuni suoi investitori "particolari" in Russia che stavano cercando di liquidare i propri conti. Ma sono solo rumor. Niente di certo. Invece alla base di tutto ci sono almeno tre verità di fondo. La prima: le catene di Sant'Antonio sono destinate a finire male. Sempre e senza eccezioni. La seconda: non esistono né investimenti né investitori in grado di garantire profitti più alti della norma anno dopo anno. Anche quando il resto del mercato scende, o peggio crolla. È semplicemente una chimera finanziaria. La terza: continuerà sempre a esserci qualcuno convinto di poter prolungare all'infinito una catena di Sant'Antonio, e continueranno sempre a esserci professionisti pronti a vendere chimere. E se adesso tutto il mondo parla di Bernard Madoff, detto Bernie, è perché è riuscito a procrastinare la fine della sua catena con l'assistenza di chi per anni ha venduto chimere. A prolungare la vita della catena di Madoff ha certamente contribuito il fatto che, garantendo continuità di risultati, gli investitori venivano invogliati a ritirare solo gli interessi accumulati anziché tutto il capitale investito. Questo riduceva il volume di capitali freschi necessari a mantenere in vita la catena (che infatti si è rotta quando la crisi finanziaria ha spinto gli investitori a liquidare). Ma l'altro fattore-chiave è che il marketing della catena non dipendeva solo da lui. A rifornirlo era una ristretta ma poderosa rete di fondi a lui associati. Stiamo parlando di una mezza dozzina di cosiddetti feeder fund, o fondi di alimentazione. Quelli che oggi si dichiarano sue vittime. Del loro ruolo si è finora parlato in modo superficiale e approssimativo. Il Sole 24 Ore è voluto andare più a fondo. E ha appurato che il rapporto tra la catena di Madoff e quei sei fondi era del tutto simbiotico: la catena veniva arricchita dai fondi e i fondi venivano arricchiti dalla catena. Non solo: ha anche scoperto che una singola persona ha avuto un ruolo centrale in tre dei sei fondi principali - Tremont, Maxam e Kingate - che in totale hanno perso oltre 6,3 miliardi di dollari. Si tratta di Sandra Manzke, fondatrice del fondo Tremont (che ha poi venduto al gruppo Oppenheimer) e del fondo Maxam (di cui è tuttora amministratore delegato) e maneger/director di Kingate. Seguendo le tracce lasciate da Manzke, Il Sole 24 Ore ha inoltre trovato documenti depositati presso la Sec, la Consob americana, dai quali risulta che almeno fino al 2000, Tremont alimentava Kingate e riceveva una commissione sul capitale immesso. Nel corso del 1999, a Tremont era stato attribuito il 17% dell'intera raccolta di Kingate. Ma se Tremont poteva alimentare direttamente Madoff, e quindi incassare la commissione piena, perché dirottare parte della sua raccolta su Kingate che poi la spostava su Madoff, e quindi incassare solo una sub-commissione? L'unica cosa certa è che in questo modo si generava uno strato aggiuntivo di commissioni. Il motivo, per ora, non è chiaro. Ma veniamo a ciò che è già chiaro. Dalle cifre finora rese pubbliche, risulta che i sei fondi maggiori avevano girato a Madoff in tutto circa 17 miliardi di dollari. È difficile fare una stima precisa di quanto questo abbia reso, ma sulla base delle cifre emerse dopo il crac, il Sole 24 Ore ha calcolato che, se non fosse saltato tutto nel 2008 i sei grandi feeder fund di Madoff avrebbero incassato fino a mezzo miliardo di dollari. Nel caso del Fairfield Sentry, il fondo del finanziere Walter Noel che aveva contribuito quasi con la metà dei capitali in questione, si parla di profitti che solo nell'ultimo anno hanno raggiunto il mezzo miliardo di dollari e che nel corso degli oltre 15 anni di rapporti con Madoff potrebbero aver superato il miliardo. Ma anche per i contribuenti minori le cifre sono da capogiro. Prendiamo l'esempio del fondo Kingate Global, distribuito dagli italiani Carlo Grosso e Federico Ceretti: dai prospetti risulta che è nato nel 1992 e che al 31 dicembre 1996 aveva già in pancia 109 milioni di dollari. Poiché chiedeva l'1,5% per la gestione, significa che quell'anno incassò 1,6 milioni di dollari per la sola am ministrazione (da Bloomberg risulta che c'era anche un 5% di fee d'ingrssso). Al 31 dicembre 1999 aveva però superato il tetto del miliardo di raccolta. Il che significa che quell'anno i profitti erano stati di 15 milioni. Da allora sono passati nove anni in cui il fondo ha raggiunto i 2,8 miliardi e i profitti accumulati hanno probabilmente superato i 200 milioni. Senza calcolare le fee di ingresso. Facendo questi conti, sorge il dubbio che a incassare più di tutti da questa vicenda non sia stato Bernie Madoff bensì nel complesso i gestori dei sei maggiori fondi che lo hanno alimentato per due decenni. Il punto chiave non è però la misura di queste cifre, bensì la loro anomalia. Persino in un settore che abbonda in eccessi com'è quello degli hedge fund, i profitti dei feeder di Madoff erano fuori norma. Il motivo era semplice: Madoff li metteva in condizione di trattenere anche quello che sarebbe dovuto andare a lui. Nonostante svolgesse il lavoro di un vero e proprio hedge fund, Madoff Securities non pretendeva commissioni. Neppure minime. Zero. Bernie spiegava a tutti di guadagnare facendo passare tutte le transazioni sulla sua casa di brokeraggio. Ma già questa era un'anomalia grande come una casa. Madoff inspiegabilmente rinunciava a entrate di centinaia di milioni di dollari all'anno. Le commissioni degli hedge fund oscillano infatti tra l'1 e il 2% del capitale gestito all'anno, più il 20% dei profitti generati. Su 17 miliardi di dollari, si parla di una cifra che poteva superare il mezzo miliardo di dollari. "In giro si diceva che Bernie non voleva i grattacapi di un hedge fund, ma era una spiegazione senza alcun senso. Per 10/15 milioni di dollari all'anno avrebbe potuto mettere in piedi una sua struttura in grado di rimuovere tutti i grattacapi del mondo", dice Suzanne Murphy, managing director di Tri-Artisan, una società di consulenza su hedge fund che sei anni fa sconsigliò i proprpi clienti di investire nei feeder di Madoff In quanto fondi che investono in altri fondi, i feeder (così come i cosiddetti fondi di fondi) normalmente chiedono commissioni molto più basse. Perché queste si vanno sommare a quelle chieste dagli hedge fund in cui finisce il denaro. Per i feeder Madoff era invece la classica gallina dalle uova d'oro: oltre a garantire profitti costanti, permetteva loro di incassare la tariffa piena degli hedge fund anziché quella ridotta dei fondi di alimentazione. Senza però aver alcun costo di gestione. L'unico costo nasceva dall'unica loro responsabilità: fare la due diligence sul fondo in cui canalizzavano i soldi. Una responsabilità che tutti dichiaravano di prendere sul serio. "La nostra due diligence va più in profondità ed è più vasta di quella svolta da un tipico fondo di fondi… Si conducono interviste dettagliate per capire la metodologia del gestore, si analizzano le transazioni fatte e… si valuta la trasparenza delle procedure", si legge tuttora nel sito web di Fairfield. Altrettanto forte era la garanzia offerta da Fim Ltd, distributore del fondo Kingate: "Poiché Fim è focalizzata esclusivamente sul mercato degli hedge fund, fornisce un'analisi completa e incisiva, senza alcun conflitto di interesse" si legge nel sito. "I professionisti di Fim hanno lunga esperienza nella selezione di gestori di massima qualità… Il modello di ricerca di Fim è basato su procedure rigorose e disciplinate che garantiscono che ogni tipo di due diligence, sul gestore, la strategia e l'operatività, sia fatta secondo gli standard più rigorosi". La reazione all'arresto di Madoff da parte di Jeffrey Tucker, socio di Walter Noel in Fairfield, fu di assoluta sorpresa: "Siamo sotto shock. Sconvolti dalla notizia". Eppure quando abbiamo chiesto a Radan Statkow, responsabile del marketing di Bordier & Cie, come mai la banca privata svizzera decise di non investire in Madoff Securities, la risposta è stata lineare: "Perché abbiamo fatto la due diligence. Perché abbiamo delle regole e quando vediamo che non sono rispettate non decidiamo di ignorarle. Una delle più importanti regole è che il custode dei fondi non sia lo stesso che li gestisce. Madoff invece non usava una banca, controllava tutto lui. Per noi era inaccettabile". Senza costi di gestione e con una due diligence evidentemente superficiale, i feeder potevano dedicare tutte le loro risorse nell'unica attività hanno dimostrato di saper fare bene: il marketing del loro prodotto. Ecco la simbiosi.
Le porte girevoli di Fim e Kingate 23 DICEMBRE 2008 Nel 2001, l'anno dell'attacco alle Twin Towers, l'indice Nasdaq era sceso del 12,1% e il Dow Jones dell'8,4. La performance del fondo Kingate Global Fund era stata invece come sempre positiva: +11,5%. Il 2002 non era andato meglio per il mercato: il Nasdaq era sceso del 31,5% e l'S&P500 aveva perso il 23,4%. Ma Kingate era salito del 9,89, mantenendo dal giorno della sua costituzione un tasso di ritorno medio da record: 14,16%. Negli anni a seguire la performance di Kingate è stata altrettanto stellare. Tant'è che il fondo è stato al centro di una tesi di laurea presso l'Università di Padova: "In 8 anni di risultati riportati, il Kingate Global Fund ha avuto un rendimento negativo solo in quattro mesi (il peggiore dei quali è stato -0,48). Il rendimento annuo, sempre positivo, raggiunge un valore massimo pari a 16,24 e un valore minimo di 7,66. Questo fondo inoltre presenta un rendimento annualizzato, considerando il periodo gennaio 1997-aprile 2005, pari al 12% (quando quello di un indice quale S&P 500 è del 5,5%)". Fino all'11 dicembre scorso, Kingate Global Fund era insomma un modello di successo finanziario. E fino a quella data non abbiamo evidenza che Carlo Grosso e Federico Ceretti, i due responsabili della società di gestione londinese Fim Ltd, avessero problemi a essere identificati con quel fondo. "Da quel che so, e ho sempre saputo, il Kingate è il loro fondo", ci dice per esempio Suzanne Murphy, managing director di Tri-Artisan, società di consulenza sugli hedge fund. Ecco perché in questi giorni gli stessi media americani hanno associato Kingate a Fim. Ma, immediatamente dopo l'arresto di Madoff, quando Il Sole 24 Ore ha chiesto lumi sul rapporto tra Fim e Kingate, Ceretti e Grosso si sono presentati come semplici distributori del fondo. Tra i tanti. Dichiarando di essersi "pentiti amaramente" di quella decisione. Per non lasciar ombra di dubbio, hanno poi spiegato l'origine di quel rapporto dicendo di essersi recati appositamente nelle Bermuda per incontrare "i vertici" di Kingate. E hanno descritto un "incontro tra professionisti" che li aveva convinti a firmare un accordo di consulenza e distribuzione non esclusiva. Insomma, con Kingate c'era una pura "attività di distribuzione". Nulla di speciale. Come con tutti gli altri fondi distribuiti da Fim. Da allora è trascorsa una settimana, durante la quale Il Sole 24 Ore ha potuto fare delle verifiche. La prima cosa che abbiamo appurato è che l'ufficio di Fim nelle Bermuda è lo stesso di Kingate Management, la società delle Bermuda che nei prospetti di Kingate Global Fund risulta essere l'investor manager del fondo. L'indirizzo, nella cittadina di Hamilton, è 99 Front Street. Ci siamo informati e abbiamo appurato che Front Street è il lungomare di Hamilton, proprio davanti al molo di attracco di yacht e navi da crociera. Al piano terra del numero 99 c'è un negozio di vestiti. Gli uffici di Kingate e di Fim sono al secondo piano. Nello stesso spazio. Sulla porta d'ingresso ci sono infatti i logo di entrambe le società. Volendo conoscere i "professionisti" del Kingate, e chiedere loro la natura del rapporto con Fim, abbiamo deciso di chiamare quegli uffici. Abbiamo composto il numero che nell'elenco delle Bermuda risulta attribuito a Kingate Management, e al secondo squillo ha risposto una voce femminile: "Pronto, Kingate Management..." È questo il numero di Fim? No, non lo è. Ma posso cercare di aiutarla comunque. Ma la Fim è in quest'ufficio? Mmm.... Sì, lo è. C'è nessuno di Fim con cui posso parlare? Riguardo cosa? Sono un giornalista e vorrei parlare con uno dei manager? Un momento. Siamo stati messi in attesa. Finché non è venuto al telefono una seconda persona: "Salve. Devo prendere i suoi recapiti in modo che qualcuno possa richiamarla". Sono in chiusura. Chiunque sia lì adesso va bene. Che vuole sapere? Lavoro per un giornale e vorrei parlare con uno dei manager. Cerco informazioni sulla performance del fondo. Mmm. Un minuto... Dopo un paio di minuti torna la telefono la prima persona: Mi dispiace ma se mi dà i suoi recapiti qualcuno la richiamerà. Al momento non c'è nessuno che la può aiutare. Posso riprovare tra una mezz'ora? In questo momento non c'è nessuno che possa... mmm... rispondere ad alcuna domanda. Quello che posso fare è prendere i suoi riferimenti e passarli a chi di dovere. Ma per il management devo chiamare New York, Londra? Londra. Ma c'è una differenza di fuso. Ora non c'è nessuno. I manager sono a New York, Londra, o dove? Mmm... sono a Londra. Sì. Non c'è nessuno nelle Bermuda? No. Non ora... francamente non posso rispondere ad altre domande. Tutto quello che posso fare è prendere i suoi riferimenti e passarli alla persona appropriata. Dopo questa conversazione, abbiamo ricontattato Federico Ceretti e Carlo Grosso per chiedere spiegazioni. Ma la loro risposta si è limitata a un "no comment". Abbiamo provato allora a chiedere a Raul Biancardi, il cui nome appariva nel programma ufficiale del Terzo summit annuale degli hedge fund italiani, svoltosi a Milano il 29 e 30 settembre 2005. Biancardi era stato invitato nella veste di managing director di Fim. Assieme a Sandra Manzke. Gli abbiamo mandato un email ma la sua risposta è stata lapidaria: "Non andai mai a quella conferenza perché detti le dimissioni da Fim pochi giorni prima. Ho lavorato con la Fim nel 2005 solo per pochi mesi. Abbastanza per capire di non voler rimanere". Oltre non ha voluto dire. Peccato. C. G.
"La due diligence ci ha detto tutto" 23 DICEMBRE 2008 Suzanne Murphy è managing director di Tri-Artisan, società di consulenza su hedge fund, e da anni si occupa di quel mercato. Conosce praticamente tutti i suoi protagonisti. Sia negli Usa che in Europa. Anche a lei era stato offerto di investire in Madoff Securities. Sei anni fa. Ma dopo la due diligence aveva concluso che non era consigliabile. Oggi Suzanne Murphy non si sente un profeta. Sei anni fa ha semplicemente fatto quello che qualsiasi professionista avrebbe dovuto e potuto fare. "Madoff - dice - ci offrì una finestra di investimento da 100 milioni. Ma decidemmo di non investire perché l'operazione ci parve sospetta". In che senso? Ottenemmo un anno intero di transazioni di alcuni clienti e notammo che i numeri non quadravano. Se quelle transazioni fossero state replicate per ogni cliente si sarebbero raggiunti volumi che il mercato non aveva mai registrato. Cercammo poi tracce delle attività di trading dei clienti e non ne trovammo. Come hanno fatto allora a cascarci in così tanti? I risparmiatori non fanno due diligence... I feeder fund però avrebbero dovuto farla... Non so se in tribunale verrà provata la loro complicità. Ma sarà certamente difficile dimostrare di non aver mai saputo niente per chi, come Fairfield, nel proprio sito dichiara di fare una due diligence estremamente meticolosa. Qui si sta parlando di professionisti molto stimati. Conosco di persona Sandra Manzke: è una persona molto intelligente. Non riesco proprio a capire come possa essersi fatta coinvolgere. Carlo Grosso, di Fim Ltd, è un uomo meraviglioso. Sono sua amica, ma non so come possa non aver avuto sospetti. Una cosa è certa: non facevano le domande giuste…. Per loro non sarà facile in tribunale. In che senso? Immaginatevi Walter Noel (del fondo Fairfield Greenwich) che testimonia davanti alla giuria popolare: "Per quanto tempo ha operato con questi fondi?" "Per venti anni". "E in questi venti anni quanti soldi ha fatto?" "Un miliardo". "In questi 20 anni quante volte ha incontrato Bernard Madoff?" "Cento". "E in queste cento volte non gli ha mai chiesto come potesse fare utili che nessun altro faceva?" Come mai nessun grande fondo pensioni è rimasto incagliato? Alcuni fondi pensioni non sono disposti a pagare le commissioni che quei gestori chiedevano. Ma penso che sia soprattutto perché con i fondi pensione c'è una maggiore probabilità che la due diligence sia più meticolosa. Si dice che qualcuno possa essere stato avvertito prima che lo scandalo scoppiasse e sia riuscito a uscire prima. Non so. Ma non credo. Dubito Bernie abbia avvertito qualcuno. Si sarebbe sparsa immediatamente la voce. Non aveva nulla da guadagnare nel farlo. Pensa davvero che abbia perso tutti i soldi? Secondo me, da qualche parte, ci sono conti in banca. Se non faceva le transazioni che dichiarava di fare, vuol dire che Bernie non poteva neppure perdere tutti quei soldi. Secondo lei perché non è scappato? Per salvare i figli: l'unico modo era rimanere a New York, dire di aver perso tutto e di aver fatto tutto da solo. Lei ci crede? I figli guidavano il trading. Come facevano a non sapere?
2008-12-17 Cardia oggi da Tremonti a consulto sul caso Madoff dall'inviata Antonella Olivieri commenti - |Stampa l'articoloInvia l'articolo | DiminuisciIngrandisci 17 dicembre 2008 NEW YORK - Il presidente della Consob, Lamberto Cardia, è atteso questa mattina al Comitato per la stabilità finanziaria costituito dal ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, per riferire sulle implicazioni italiane del crack Madoff, il broker di Wall Street finito in dissesto lasciando un buco di 50 miliardi di dollari. Il crack, secondo quanto accertato finora dalla Consob, non ha mietuto molte vittime in Italia, anche perchè nel Vecchio continente il centro di "smistamento" principale per i fondi direttamente o indirettamente gestiti da Madoff era la Confederazione elvetica, da sempre riservata custode di ingenti patrimoni. Non a caso anche l'Autorità bancaria svizzera ha aperto un'indagine per verificare fino a che punto siano coinvolte le banche private e i fondi di Zurigo, Ginevra e Lugano che amministrano anche le ricchezze di molti italiani. Ma ora è emerso che anche l'Austria, altro polo europeo per il private banking d'alto bordo, non è rimasta indenne. Infatti ieri è uscita allo scoperto Bank Medici, denunciando che due suoi fondi avevano affidato a Madoff tutto il loro patrimonio: 2,1 miliardi di dollari. Bank Medici è partecipata al 25% dal gruppo UniCredit attraverso Bank Austria (gruppo Hvb) e nel suo consiglio di sorveglianza siede uno dei vice-presidenti dell'istituto di Piazza Cordusio Gianfranco Gutty. I rapporti tra Bank Medici e Madoff risalgono a metà degli anni '90 – sono dunque precedenti l'acquisizione di Hvb da parte di UniCredit – e sono riconducibili a Sonja Kohn, titolare del 75% della banca e amica di vecchia data di Madoff. L'elenco compilato dalla Consob dovrebbe riguardare comunque solo le Sgr che fanno capo all'Italia: Banca Aletti, i cui clienti sono esposti per 60 milioni di euro, i fondi Pioneer con 280 milioni di dollari; Duemme, la Sgr di Banca Esperia, per un importo contenuto; mentre Mediobanca, attraverso la controllata monegasca Cmb, ha 671mila dollari di esposizione in conto proprio. Secondo l'ufficio studi di Mondo Hedge, complessivamente, i fondi speculativi italiani sono della partita per 80 milioni di euro, lo 0,5% del loro patrimonio. Hanno poi denunciato un'esposizione al crack Madoff anche UniCredit (100 milioni di dollari), Banco Popolare (8 milioni di euro) e da ultimo Ubi banca per 60,5 milioni di euro. Occorreranno comunque almeno sei mesi per ricostruire i risvolti della gestione patrimoniale clandestina di Bernie Madoff, dopo che sono state scoperti i primi documenti falsificati. "La documentazione contabile in questo caso è altamente inaffidabile", ha riferito Stephen Harbeck, presidente della Securities investor protection corp, la cassa di garanzia creata dal Congresso Usa e alimentata dalle società di intermediazione. La Sipc, che ha una dotazione di 1,6 miliardi di dollari e può garantire perdite individuali fino a 500mila dollari (ma non investimenti), ha ottenuto dal Tribunale di New York la nomina di un fiduciario, Irving Picard, per valutare quanto possa essere ancora recuperato dagli asset della Bernard Madoff Investment Securities. Comunque briciole, a fronte di un buco da almeno 50 miliardi di dollari, secondo quanto rivelato dallo stesso Madoff, prima di essere arrestato, a due dipendenti senior della società che, si è scoperto poi, altri non erano che i suoi stessi figli, Mark e Andrew. Mentre l'Fbi indaga e una squadra di funzionari della vigilanza è all'opera nell'ufficio blindato al 17-esimo piano del Lipstick building per vagliare la documentazione, emergono quotidianamente dettagli sconcertanti sulla gestione clandestina dell'ex presidente Nasdaq. Per alcune sedute è stato calcolato per esempio che se Madoff avesse effettivamente operato in opzioni quanto dichiarato avrebbe movimentato da solo più scambi dell'intero mercato. Ma a chi chiedeva spiegazioni veniva risposto che le opzioni erano state negoziate over-the-counter. Peccato però che nessuno si sia premurato di controllare se ciò fosse plausibile.
Madoff agli arresti domiciliari Ritirato passaporto moglie di Riccardo Barlaam commenti - |Stampa l'articoloInvia l'articolo | DiminuisciIngrandisci 17 dicembre 2008 Quei gestori della City che offrivano Madoff in Italia Cardia oggi da Tremonti a consulto sul caso Madoff (dall'inviata Antonella Olivieri) Usa, messo in liquidazione il fondo di Bernard Madoff L'ordinanza del giudice USA Le banche europee e italiane più esposte Esposizioni limitate per gli hedge fund italiani Come funziona il raggiro Bernard Madoff, l'ex presidente del Nasdaq accusato di aver messo in piedi con la sua società finanziaria una frode da 50 miliardi di dollari, è agli arresti domiciliari nel suo appartamento di Manhattan e dovrà portare un braccialetto elettronico, così da essere controllato al meglio. Lo ha deciso il magistrato americano Gabriel Gorestein in seguito al nuovo slittamento dell'udienza. La giustizia americana ha deciso anche di ritirare il passaporto alla moglie, Ruth. Madoff è apparso oggi davanti alla corte e ha accettato condizioni di libertà più stringenti per evitare il carcere. Il procuratore Michael Musakey ha inoltre annunciato di essersi ricusato dall'indagine del Dipartimento di Giustizia, spiegando che suo figlio Marc sta rappresentando Frank DiPascali, impiegato della Bernard L. Madoff Investment Securities. Madoff cerca i soldi per la cauzione. Madoff, sta cercando amici o parenti che garantiscano le obbligazioni che ha offerto per pagare la sua cauzione, fissata a 10 milioni di dollari. Se l'ex presidente del Nasdaq non riuscirà a trovare almeno 4 garanti, sarà costretto ad attendere il processo in carcere. La principale autorità finanziaria del Massachussets, stato dove Madoff poteva contare su un gruppo di facoltosi sostenitori, ha intanto inviato un mandato di comparizione al fondo d'investimenti del settantenne trader e alla Cohmad Securities Corp, una società che ne vendeva i prodotti. Le due società dovranno fornire i dati di tutti gli abitanti dello stato che hanno affidato il loro denaro a Madoff entro il 29 dicembre. Imbarazzo Sec per mancanza di controlli. Christopher Cox, presidente della Sec, l'authority Usa per i mercati finanziari, ha avviato un'indagine interna per scoprire come l'organo non sia riuscito a scoprire la frode da 50 miliardi di dollari messa in piedi dall'ex presidente del Nasdaq, Bernard Madoff, nonostante le ripetute segnalazioni. La maxi frode mette sempre più in imbarazzo le autorità di controllo Usa, che hanno assistito inermi alla truffa del secolo, così come l'hanno già battezzata in molti. Tanto che Cox, presidente della Sec, ha già puntato il dito contro i suoi stessi colleghi. "Sono molto preoccupato per quelli che hanno tutta l'aria di essere fallimenti a catena (nella rete di controlli), che si sono protratti per almeno un decennio", ha detto il numero uno dell'autorità sui mercati Usa, che ha reso noto di aver dato il via a un'indagine interna alla Sec. Cox si è riferito in particolare allo staff legale della Sec, che non ha mai avviato indagini accurate sulle attività di Madoff, nonostante le prime accuse contro il finanziere fossero state lanciate già nel 1999, e presentate proprio all'attenzione della commissione. Invece di inviare un'ingiunzione, e costringere Madoff a consegnare documenti cruciali sul suo operato, gli avvocati della Sec si sarebbero accontentati infatti di ottenere solo qualche informazione volontaria -e falsa -fornita dallo stesso ex numero uno del Nasdaq. Grazie alla sua abilità, il finanziere sarebbe riuscito così a raggirare tutti. A tal proposito Stephen Harbeck, amministratore delegato della Securities Investor Protection Corporation (SIPC, associazione creata dal Congresso al fine di proteggere la comunità degli investitori), ha reso noto che Madoff disponeva di diversi libri contabili. Di questi, alcuni hanno sempre mostrato l'entità delle perdite subite dalla sua società, ma sono rimasti sempre ben nascosti in tutti questi anni. Cresce nel frattempo al Congresso degli Stati Uniti la rabbia per quanto è avvenuto. La truffa operata da Madoff, ha detto in particolare Jack Reed, presidente della commissione bancaria del Senato che controlla la Sec, "mostra l'assenza di un'attività credibile da parte della divisione della Sec che opera per il rispetto della legge". Le cose si mettono male anche per Cox, già oggetto di forti critiche negli ultimi mesi per non essere riuscito ad anticipare la bufera che ha fatto grandi vittime nel sistema finanziario Usa, tra cui l'ex quinta banca d'affari Bear Stearns. L'inchiesta. Gli investigatori hanno scoperto documenti falsificati nei libri contabili del gestore di fondi Bernard Madoff, accusato di aver organizzato una gigantesca frode piramidale di oltre 50 miliardi di dollari (35,6 miliardi di euro). Lo ha rivelato Stephen Harbeck all'Associated Press. Le modifiche, che richiederanno diversi mesi di lavoro prima di essere completamente controllate, miravano a coprire le massicce perdite che colpivano grandi banche, compagnie d'assicurazione e ricche personalità in diversi paesi. Stephen Harbeck dirige la Sipc (Securities Investor Protection Corporation), un fondo pubblico creato per aiutare gli investitori delle aziende di mediazione fallite e controllare la liquidazione giudiziaria della società di Bernard Madoff, ordinata da un giudice federale. "E' evidente che i documenti comunicati ai clienti non riflettevano la situazione reale dell'azienda di mediazione" ha dichiarato Harbeck, precisando che alcuni documenti testimoniano perdite nascoste nel settore immobiliare.
2008-12-16 Usa, messo in liquidazione il fondo di Bernard Madoff 16 dicembre 2008 L'ordinanza del giudice USA Le banche europee più esposte Esposizioni limitate per gli hedge fund italiani Gb, aperta pagina online per la denuncia di frodi finanziarie di Nicol Degli Innocenti Indagini su unità di business non registrata L'esposizione di Unicredit è di 75 milioni di euro L'Italia e il crack Madoff. Scatta l'allarme hedge funds Uragano Madoff su Wall Street di Mario Platero VISTI DA LONTANO / Un italiano famoso, Charles Ponzi (di Elysa Fazzino) di Mara Monti Come funziona il raggiro Le autorità statunitensi hanno annunciato la messa in liquidazione della società di gestione di fondi di Bernard Madoff, arrestato giovedì per frode, avvertendo gli investitori di non farsi illusioni sull'ammontare delle somme che possono essere recuperate. La Sipc (Securities investor protection corporation), un organismo incaricato di proteggere gli interessi degli investitori clienti di società di mediazione, ha sottolineato che l'estensione delle sospette frodi e lo stato dei conti della società rendono il caso particolarmente difficile. A firmare il via libera alla liquidazione è stato il giudice americano Luois Stanton. Irvin Picard, con l'assistenza dello studio legale Baker and Hostetler è il legale che curerà questo processo stilando la lista degli investitori e inviando loro i moduli per presentare i reclami per la restituzione delle somme. Il processo - ha precisato la Securities Investor Protection Corporation (Sipc) - probabilmente richiederà mesi. Gli investitori nei fondi Madoff, in base all'ordinanza del giudice Stanton, saranno tutelati da Securities Investor Protection Act. "In base alle informazioni fornite dalla Sec e dalla Fincancial Industry Regulatory Authority, è chiaro che i clienti di Madoff hanno bisogno delle garanzie disponili in base alle legge federale", spiega il presidente e amministratore delegato della Securities Investor Protection Corporation, Stephen Harbeck. "Lavorerò con la Sipc - ha spiegato Picard - per fare ciò che la legge consente per ridurre le perdite dei consumatori". Le potenziali perdite denunciate dalle maggiori istituzioni finanziarie europee fanno temere per un quarto trimestre ancora più difficile del previsto per le banche. Le svalutazioni che saranno effettuate nel Vecchio Continente, inoltre, potrebbero - secondo Business Week - dare una spinta a una nuova ondata di consolidamento del settore. "Il settore bancario europeo sta chiudendo il 2008 così come lo ha iniziato, cioè con l'annuncio di potenziali svalutazioni miliardarie", scrive il settimanale. "Ci aspettiamo ulteriori svalutazioni nel quarto trimestre", aggiunge citando Ralph Silva, il direttore della ricerca di Tower Group, secondo il quale saranno le banche "più piccole a soffrire di più" per lo scandalo Madoff. Il Sipc è un organismo fondato nel 1970 e che ha consentito finora il recupero di 15,7 miliardi di dollari da parte di investitori in società coinvolte in processi assistiti di fallimento. Il suo statuto prevede che nessun cliente possa recuperare più di 500.000 dollari e con gli 1,6 miliardi di dollari al momento a sua disposizione è in grado si soddisfare le richieste di circa 300.000 clienti Madoff. Non è ancora al momento chiaro quanti siano i clienti di Madoff.
Madoff, la truffa colpisce anche le banche europee 14 dicembre 2008 Richard Grasso, presidente New York Stock Exchange a sinistra, David S. Ruder, a capo dellaSecurity and Exchange Commission, al centro e Bernard Madoff, a capo della Madoff Investment Securities - AP / Foto L'Italia e il crack Madoff. Scatta l'allarme hedge funds Uragano Madoff su Wall Street (di Mario Platero) Ponzi, l'italo-americano che inventò la truffa negli anni '20 (di Mara Monti) Come funziona il raggiro Gran Bretagna, Varley: "2009, un altro anno di crisi" di Nicol Degli Innocenti
Tra le banche europee più esposte sul fondo dell'ex Mr Nasdaq ci sono Hsbc e Banco Santander. Il gruppo bancario britannico ha ufficializzato l'esposizione per circa un miliardo di dollari nella frode da 50 miliardi di dollari architettata da Bernard Madoff, ex presidente del Nasdaq, caso che ieri (15 dicembre) ha tenuto con il fiato sospeso i mercati finanziari. Il Santander ha "denunciato" un importo maggiore (2,33 miliardi di euro) ma riguarda l'esposizione dei clienti del proprio hedge fund Optimal.
La situazione italiana. In Italia la Consob ha avviato una serie di accertamenti finalizzati proprio a valutare l'impatto del crac sul sistema finanziario italiano. Unicredit ha comunicato di avere un'esposizione propria di circa 75 milioni di euro. "Relativamente alla divisione di asset management Pioneer Investments - dice il comunicato - UniCredit conferma che alcuni fondi della sua unità dedicata agli investimenti alternativi sono esposti a Madoff indirettamente tramite feeder funds." Questi ultimi "non sono tuttavia presenti in alcun portafoglio dei fondi di fondi hedge di diritto italiano". Pertanto, "l'esposizione dei clienti italiani è pari a zero". Quanto a Banco Popolare, "Il Sole 24 Ore" di sabato ha rivelato come Aletti Gestielle (controllata dal Banco Popolare) sia tra i clienti di Union Bancaire Privèe, gruppo tra i più esposti in Europa sugli strumenti del fondo Madoff. La banca, in un comunicato, ha sottolineato che Aletti Gestielle Alternative ha esclusivamente una esposizione indiretta tramite fondi feeder inseriti nei propri fondi di fondi hedge. Il fallimento del Fondo Madoff, dunque, comporterà una perdita massima, relativa al patrimonio del Banco Popolare, non superiore - al cambio attuale - a 8 milioni di euro. La perdita massima sui fondi distribuiti alla clientela istituzionale e private ammonta a circa 60 milioni. Mediobanca ha dichiarato esposizioni per 671mila dollari attraverso Compagnie Monegasque de Banque. Generali, Fonsai e Azimut hanno fatto sapere di non avere alcuna esposizione. Anche Intesa Sanpaolo comunica di non avere "esposizioni proprie". Ubi Banca, dal canto suo, ha fatto sapere che nell'ambito degli investimenti di proprietà l'esposizione del gruppo ammonta a 60,4 milioni di euro. Peraltro, a detta della società, "non risulta alcuna esposizione al rischio Madoff nelle società di gestione del Gruppo (Ubi Pramerica e Capitalgest Alternative Investments)." Le banche europee. Sono molte le banche europee esposte. Tra queste troviamo il Santander, Bnp Paribas, Rbs, Natixis. La britannica Royal Bank of Scotland fa sapere che le sue perdite potenziali legate allo scandalo sono di 400 milioni sterline (450 milioni di euro). La spagnola Santander ieri ha detto che i clienti di Optimal, il suo hedge fund, sono esposti per addirittura 2,33 miliardi di euro. La banca spagnola Bbva, la seconda del Paese, non ha invece investimenti diretti in asset del truffatore statunitense, ma potrebbe avere "circa 300 milioni di euro di perdite" se alcuni fondi Madoff si rivelassero del tutto privi di valore. Bbva ha infatti agito su questi fondi solo come gestore per conto di altre banche e investitori istituzionali. La francese Bnp Paribas annuncia possibili perdite per 350 milioni di euro. Anche la banca d'investimento francese Natixis, controllata dalla Caisse d'Epargne e dalla Banque Populaire, rischia di perdere 450 milioni di euro. L'esposizione di Union Bancaire Privèe (Ubp) rappresenta invece meno dell'1% del totale degli asset in gestione. La solidità finanziaria della banca è ai livelli più alti - spiega Ubp in un comunicato - "non solo Ubp ha un Tier 1 ratio del 16% in termini di shareholder equity, il doppio rispetto al minimo legale richiesto dell'8%, ma lo stato patrimoniale ha mostrato una struttura costante per diversi anni, senza investimenti a rischio".
Crac Madoff, l'esposizione di Unicredit è di 75 milioni di euro 15 dicembre 2008 Unicredit ha un'esposizione propria di circa 75 milioni di euro al crac Madoff. Lo precisa la banca, in merito alle notizie diffuse sullo frode perpetrata dal gestore Usa. "Relativamente alla divisione di asset management Pioneer Investments - aggiunge il comunicato - UniCredit conferma che alcuni fondi della sua unità dedicata agli investimenti alternativi sono esposti a Madoff indirettamente tramite feeder funds." Questi ultimi "non sono tuttavia presenti in alcun portafoglio dei fondi di fondi hedge di diritto italiano". Pertanto, "l'esposizione dei clienti italiani è pari a zero".
Il crack Madoff spaventa l'Italia. Scatta l'allarme hedge funds di Monica D'Ascenzo 14 DICEMBRE 2008 Uragano Madoff su Wall Street (di Mario Platero) Ponzi, l'italo-americano che inventò la truffa negli anni '20 (di Mara Monti) Come funziona il raggiro
A 48 ore dall'esplosione del caso Madoff è ancora difficile quantificare gli effetti che la truffa del secolo avrà sui fondi di fondi hedge. Una cosa, però, è già chiara: il crack di Madoff rischia di scatenare un effetto domino sui gestori delle più importanti piazze finanziarie europee, da Londra a Ginevra, da Madrid a Milano. In cifre, il falò da 50 miliardi di dollari acceso a Wall Street potrebbe mandare in fumo il 5% degli asset europei dei fondi di fondi hedge. Per quanto riguarda l'Italia, i rapporti con Madoff sono certi, ma il danno subito dagli investitori è difficile da quantificare: c'è chi parla di un'esposizione complessiva di oltre 3 miliardi, ma dai gestori non arrivano conferme. Sul sito web di Pioneer del gruppo UniCredit, ad esempio, è scritto che "sostanzialmente tutti" i 280 milioni di dollari del fondo Primeo Select sono stati investiti sui fondi di Madoff. Dalla società fanno sapere che "come molti altri asset manager Pioneer Alternative Investments (Pai) sta valutando il potenziale impatto di questa situazione: Pai non è un investitore diretto in Madoff, ma alcuni fondi sono esposti indirettamente tramite feeder funds ". Il danno, se ci sarà, potrebbe riguardare solo in minima parte gli investitori privati: "Questi fondi sono distribuiti principalmente a investitori istituzionali e wholesale. L'esposizione per i clienti retail è molto limitata e pari a zero in Italia. Continueremo a monitorare la situazione, per assicurare che vengano messe in atto tutte le procedure necessarie a rappresentare gli interessi dei nostri clienti ", prosegue la fonte di Pioneer. Stesso discorso per il Banco Popolare, socio in Aletti Gestielle Alternative di Union Bancaire Privée, la banca svizzera coinvolta nel caso Madoff per un'esposizione valutata in oltre un miliardo di euro. Il gruppo bancario italiano ha fatto sapere che si tratta di "un impatto minimo nei nostri fondi di fondi hedge ". Ma anche in questo caso, le cifre non vengono fornite. Un caso tutto da accertare riguarda la Fim, la società londinese di advisory gestita da due manager italiani, Federico Ceretti e Carlo Grosso. Secondo alcune indiscrezioni, la Fim avrebbe investito somme molto ingenti per conto di clienti italiani in Kingate, un hedge della galassia Madoff con asset per 2,8 miliardi di dollari: ebbene, la sorte di queste risorse è quanto meno incerta. In questa situazione confusa, molte società di gestione si sono affrettate a tranquillizzare i propri investitori. Hedge Invest, della famiglia Manuli, ha inviato una email a tutti i suoi clienti: "Caro Investitore - è scritto nella lettera - in seguito alla notizia dell'arresto di Bernard Madoff, Ceo di Madoff Investment Securities, società di brokeraggio operativa presso il New York Stock Exchange e advisor di alcuni fondi hedge (tra i quali ci risultano i seguenti: Kingate, Fairfield Sentry, M&B Equity Plus, M&B LIF US Equity Luxalpha, Thema International, Herald Fund, Dakota Global Investment e Rafale Partners Inc) vi confermiano di non avere esposizione in nessun portafoglio o fondo supervisionato dalla stessa società ". Anche Albertini Syz ha scritto ai clienti: "Gentili investitori, facendo riferimento alla notizia diffusa relativa alla Madoff Investment Securities LLC e alle numerose richieste a noi pervenute (...) desideriamo comunicare che Albertini Syz SGR non ha alcuna esposizione a fondi ricollegabili a Madoff Investment Securities LLC". Dello stesso tenore la mail di Kairos, il fondo del finanziere Paolo Basilico, che ha negato esposizioni con Madoff. In Svizzera, dove la situazione appare molto più tesa, il fondo di fondi hedge Harcourt ha detto di non avere"alcuna esposizione con fondi feeder legati a Madoff" e quindi di non essere stato toccato "da questo presunto caso di frode". Ciò che sorprende tutti in questa storia sono comunque i segnali inascoltati. In particolare, molti risk manager dei fondi guardavano con sospetto il fatto che gli investimenti non avvenissero attraverso una banca depositaria, che comunque rappresenta una garanzia, ma direttamente con l'asset management della società di Madoff, Bmis. Altro fattore sospetto era il rendimento mensile costante, sempre alto indipendentemente dai movimenti del mercato.
Uragano Madoff su Wall Street dal nostro corrispondente Mario Platero 14 DICEmbre 2008 Ieri c'è stato il terrore delle perdite individuali, il terrore di molti protagonisti del jet set internazionale che con il fallimento Bernard Madoff e il buco da 50 miliardi di dollari hanno perso gran parte delle loro fortune. Oggi, con l'avvicinarsi delle aperture dei mercati di domani, c'è il terrore per l'effetto domino: chi sarà il prossimo fondo a cadere? Come finirà il settore hedge funds sull'onda delle redemption, che dalle prossime ore saranno inevitabili e travolgenti? Che cosa succederà a uno dei più remunerativi business delle banche, quello appunto che serviva gli hedge funds? Dove si andranno a recuperare i soldi perduti? La storia di questo buco colossale, che vale tre volte quello di Parmalat ed è persino più grande del fallimento Lehman insomma, è appena cominciata. Il fondo più a rischio oggi è il Fairfield Greenwich Group, circa 16 miliardi di dollari in gestione, uno dei fondi gestione più conosciuti nel jet set internazionale grazie allo straordinario lavoro di marketing della famiglia Noel. Fairfield aveva investito ben 7,5 miliardi di dollari del suo patrimonio in gestione nel fondo di Madoff, circa la metà della sua dotazione totale. E quando un fondo perde anche il 30% del suo valore, in genere ha il destino segnato. Pare che nel crack subiranno perdite colossali molti protagonisti della comunità ebraica di New York e alcune organizzazioni istituzionali, ad esempio la Yeshiva University, che aveva Madoff fra i suoi consiglieri. Fra gli altri fondi colpiti, in Europa c'è il King Gate,2,8 miliari di dollari investiti esclusivamente con Madoff, sembra in buona parte in provenienza dall'Italia grazie all'intermediazione di Federico Ceretti e Carlo Grosso da Londra. In America, Ascot Partners, gestito da Ezra Merkin, presidente della ex Gmac, la divisione finanziaria della Gm. Ascot aveva 1,8 miliardi di dollari in gestione, di fatto tutti investiti con Madoff. Ci sono poi il fondo Sterling Equities, di Fred Wilpon, il proprietario dei Mets e quello di Norman Braman, l'ex proprietario della squadra di footbal Eagles di Filadelfia. Il fondo Tremont, che avrebbe investito un miliardo di dollari con Madoff e il Maxam Capital Management. Proprio il Maxam ci dà la dimensione di uno dei più grossi problemi con cui si confronteranno managers e fondi a partire da domani mattina: la richiesta da parte delle autorità di restituire un rimborso che potrebbe essere stato illegale. A novembre, quando le cose erano ancora in apparenza tranquille, Maxam chiede a Madoff la restituzione di 30 milioni di dollari. Madoff paga immediatamente. La sua puntualità nei rimborsi era leggendaria, fino a quando negli ultimi giorni, le richieste di rimborsi non sono salite a 7 miliardi di dollari. A quel punto Madoff si è reso conto che non ce l'avrebbe più fatta e che il suo schema di ripagare i vecchi clienti con i fondi investiti dai nuovi sarebbe saltato. La domanda centrale a questo punto è chiara: Maxam e altre centinaia di investitori che come lui avevano recuperato i fondi prima del fallimento, possono tirare un sospiro di sollievo o dovranno restituire i loro rimborsi? Pare che non ci siano dubbi: chi ha ottenuto rimborsi dopo che Madoff era tecnicamente fallito dovrà quasi certamente restituirli. La legge americana infatti prevede il recupero di fondi erogati da una istituzione finanziaria dopo il fallimento "tecnico" per proteggere egli altri investitori. Se ad esempio un investitore aveva dato 100 milioni a Madoff cinque anni fa, ne ottiene in restituzione oggi circa 200 grazie a un ritorno composto medio del 10% all'anno. In realtà i 100 milioni originari erano stati investiti male e si erano ridotti diciamo a 25 milioni di dollari. Per proteggere la sua immagine e evitare il panico, Madoff continuava a rimborsare i vecchi clienti con i fondi dei nuovi investitori, in coda per avere accesso ai suoi prodotti, leggendari per stabilità dei ritorni, circa il 10% all'anno. Non un ritorno strabiliante dunque, non il 20 il 30%all'anno come riuscivano a fare alcuni fondi hedge prendendo più rischi, ma proprio per questo, per la stabilità e la continuità dei ritorni, il fondo di Madoff sembrava più conservatore e sicuro. Gli investigatori ora dovranno ricostruire il momento preciso del fallimento tecnico di Madoff e riallocare le perdite, andando a chiedere quattrini a chi li aveva incassati ignaro (e felice) magari cinque anni fa. Per questo le ramificazioni di questo fallimento saranno catastrofiche. Si partirà sul piano degli investimenti privati, ma le conseguenze saranno anche sistemiche: chi ha perso i soldi con Madoff e dovrà far fronte a pagamenti avrà due possibilità: dovrà dichiarare fallimento e dovrà prelevare soldi da altri fondi che si troveranno a loro volta in difficoltà. Per questo, e per l'improvvisa paura che oltre al mercato debolissimo vi sia il rischio di truffe, l'intero settore dei fondi hedge, già debole, oggi è ad altissimo rischio sul piano sistemico. Il terzo capitolo che si aprirà domani sarà quello delle cause, e delle vendette personali. Decine di studi legali a New York sono stati mobilitati per procedere con recupero crediti. Ma c'è chi teme anche la vendetta fisica: si dice che molti investitori nei fondi americani che appoggiavano Madoff fossero sudamericani e colombiani in particolare.
Un italiano famoso, Charles Ponzi di Elysa Fazzino 16 DICEMBRE 2008 Non solo pizza e mandolino, ma anche lo "schema Ponzi". Tra le etichette appiccicate all'italianità c'è anche quella poco lusinghiera della truffa applicata nel caso Madoff. In effetti, l'italiano di cui si parla di più oggi sui siti dei media esteri è Charles Ponzi, che ha dato il nome al sistema delle piramidi finanziarie, la vendita a catena attuata allo scopo di scroccare denaro agli investitori. I giornali americani, inglesi, francesi spiegano chi era e cosa ha fatto questo immigrato italiano negli Usa che negli Anni Venti truffò migliaia di clienti, lasciando il segno. "Truffatore e manipolatore di azioni" lo definisce il New York Times sotto la foto di Ponzi appena uscito di prigione, a Boston. La frode da 50 miliardi di dollari di Bernard Madoff viene chiamata ora come il più grande "schema Ponzi" della storia. Sewell Chan oltre a fare notare per inciso che ci sono altri contendenti per questo genere di distinzione - osserva come Madoff e Ponzi siano personaggi molto diversi. Il primo scrive è vissuto nei mondi della finanza e della filantropia, con una reputazione che si estendeva dalle élite danarose di Manhattan ai campi da golf di Palm Beach. Ponzi era un immigrato "dalla parlantina veloce" che non aveva mai finito gli studi e il suo schema faceva presa sui lavoratori comuni desiderosi di beneficiare della ricchezza generata intorno a loro durante quell'ultima Età dell'Oro. Il New York Times fa parlare Mitchell Zuckoff, il biografo di Ponzi, autore del libro "Lo schema Ponzi: la Vera Storia di una Leggenda Finanziaria". Arrivò a Boston nel 1903, a 21 anni. Imparò rapidamente l'inglese, fece molti lavori, lavorò come cameriere e allo sportello di una banca, fece un periodo di prigione per traffico di immigrati clandestini dall'Italia. Lo schema che aveva congegnato consisteva nel comprare "tagliandi internazionali di risposta" (i francobolli internazionali prepagati molto usati dagli emigrati) in valute europee a tassi di cambio fissi (e quindi a basso prezzo) e nel riscuotere l'equivalente in dollari negli Usa, con un utile garantito. La gente gli affidava i soldi e lui "aveva bisogno di avere solo abbastanza contanti per pagare chi riscattava i coupon". Ovviamente, con la prospettiva di aumentare i risparmi in modo esponenziale, "pochi riscattavano". Fu condannato per il suo schema nel 1920, fu incarcerato e alla fine nel 1934 fu espulso in Italia, senza mai diventare cittadino americano. Morì "senza un soldo a Rio de Janeiro nel 1949 e lì fu sepolto nel cimitero dei poveri". Democratizzare la ricchezza "Aveva verve e carisma, e attirava molta attenzione", dice Zuckoff, secondo il quale Ponzi, "almeno concettualmente", rappresentava la "democratizzazione della ricchezza". Mentre Madoff offriva il senso di appartenere a un club esclusivo, Ponzi era un "grande equalizzatore", "attingeva nei desideri delle masse". Secondo il suo biografo, Ponzi morì sostenendo che aveva agito in buona fede. La sua storia è raccontata a mo' di parabola dal britannico Times. "Non c'è dubbio che era un imbroglione", scrive Daniel Finkelstein. Ma a Boston si sposò con una brava ragazza italiana e cercò di mettere la testa a posto. "Ed è allora che sono cominciati i guai". Si rese conto che c'erano affari in ballo vendendo i coupon postali di risposta. E mise in piedi il meccanismo che poi, in un certo senso, gli sfuggì di mano. Lo schema crollò e andò in prigione. "Ma stranamente, aveva un gran numero di fan che erano indignati dalla sua incarcerazione ed espulsione. Nella comunità di immigrati italiani era, per alcuni, sempre un eroe". La "dimensione e l'audacia" della sua frode fecero sì che il nome di Ponzi restò legato questo tipo di truffa. Ma una ventina d'anni prima l'aveva tentata William Miller, contabile di una compagnia del tè. "Truffe del genere non sono nuove, ce ne sono sempre state e sempre ce ne saranno". Il truffatore, secondo Finkelstein, trova le sue vittime tra le persone più intelligenti. Più la truffa è grande e più è essenziale che le vittime non siano stupide: più sono intelligenti, più capiscono che l'affare può essere vantaggioso per loro. C'è una lezione da trarre anche per la crisi: "Negli ultimi dieci anni abbiamo creduto che la crescita dell'economia era magica, che sarebbe continuata per sempre…Questa volta era diverso, dicevamo a noi stessi, come ci diceva Gordon Brown…". "Così siamo andati avanti allegramente, finanziando i servizi pubblici facendo pagare a chi entra nella forza lavoro i benefici della forza lavoro esistente. Uno schema Ponzi. E noi siamo il bersaglio". Ponzi costruì "la più grande truffa d'America dell'inizio del Ventesimo secolo", scrive più sinteticamente il britannico Guardian in risposta alle "Faq" (frequently asked questions). "Comprò coupon postali il cui valore era basso in Europa e li rivendeva con un rialzo del 400% negli Usa. Divenne multimilionario. Un'inchiesta del New York Post scoprì la frode e lui fu rispedito in prigione. Finì la sua vita in povertà".
Quel viaggio nel fondo Kingate, dalle Bermuda fino all'Italia dall'inviato Morya Longo 17 Dicembre 2008 Bernard Madoff (Bloomberg) Usa, messo in liquidazione il fondo di Bernard Madoff L'ordinanza del giudice USA Le banche europee più esposte Esposizioni limitate per gli hedge fund italiani Gb, aperta pagina online per la denuncia di frodi finanziarie di Nicol Degli Innocenti Indagini su unità di business non registrata L'esposizione di Unicredit è di 75 milioni di euro L'Italia e il crack Madoff. Scatta l'allarme hedge funds Uragano Madoff su Wall Street di Mario Platero VISTI DA LONTANO / Un italiano famoso, Charles Ponzi (di Elysa Fazzino) di Mara Monti Come funziona il raggiro LONDRA - Numero 20 della centralissima St. Jame's street di Londra. Anche qui, a un passo da Piccadilly, si è abbattuto l'uragano della frode di Bernard Madoff. Al quinto piano di una palazzina come tante c'è infatti la sede della Fim Advisers Llp, società di gestione e di advisory guidata da due italiani: Carlo Grosso e Federico Ceretti. Due professionisti stimati, a Londra. Che, a metà degli anni '90, hanno fatto una scelta di cui oggi si pentono amaramente: sono diventati distributori (insieme ad altri) del fondo Kingate delle Bermuda, uno dei tanti fondi gestiti da Madoff. Ottimi guadagni per anni. Solo rabbia ora, per una frode di cui Ceretti e Grosso – a detta di chi li conosce – non sapevano nulla. Frode che ha "bruciato" oltre 3 miliardi di dollari di Kingate. Che ha sfiorato poi il Banco Popolare, che con Fim Advisers aveva un rapporto di consulenza. E che, secondo le ricostruzioni del Sole-24 Ore, potrebbe avere toccato anche la famiglia Bassani del gruppo Wally. Si è invece salvata Eurizon, che aveva anch'essa Fim come advisor. È per questo che la vicenda di Grosso e Ceretti (simile a migliaia di altre in giro per il mondo) diventa emblematica: testimonia come una truffa si sia propagata nel mondo. Non tra i soliti piccoli risparmiatori: le vittime questa volta sono i professionisti della finanza. Da New York fino all'Europa, Italia inclusa, passando per le spiagge delle Bermuda. Dalle Bermuda a Londra La vicenda di Grosso e Ceretti inizia nel 1981, quando a Londra fondano la Fim Advisers. Inizialmente si occupano di gestioni patrimoniali e poi, dai primi anni '90, si specializzano in fondi di fondi hedge. È nel 1994-95 che Ceretti e Grosso vanno nelle Bermuda, dove incontrano i vertici di una società locale: Kingate. Un incontro tra professionisti, che convince i capi della Fim a fare il passo: firmare un accordo di consulenza e distribuzione (non esclusiva) del fondo Kingate. Si tratta di un fondo "feeder", che era appena stato creato, di Madoff: un prodotto gestito da lui, per cui la Fim Advisers fa puramente un'attività di distribuzione. Se oggi si cerca di chiedere a Grosso e Ceretti cosa li abbia convinti, loro si trincerano dietro un "no comment". La vicenda ormai è in mano ai legali. Ma se si parla con chi li conosce bene, a Londra, si capisce il motivo: Madoff aveva creato la strategia in apparenza ideale, capace di generare buoni e costanti ritorni con una bassa volatilità. La strategia aveva anche un nome: "split strike conversion". In pratica consisteva nell'acquisto di un'azione e nel contestuale acquisto di un'opzione put e vendita di un'opzione call. Non solo. Madoff era uno dei più grossi market maker fuoriborsa sulle azioni quotate a New York. Aveva inoltre una delle tecnologie di trading più avanzate. Ed era una "brava persona che parlava sempre dei figli", ricorda un investitore. Insomma: era il gestore dei sogni. Oggi sappiamo che la realtà era ben diversa. Però ci hanno creduto in tanti. Non tutti, ma tanti: Madoff aveva almeno mille clienti, tra cui altri fondi "feeder" come Kingate. Saranno gli investigatori a stabilire se tra tutti questi fondi, situati in giro per il mondo, ci siano state delle complicità. Saranno gli investigatori a rispondere alla domanda più difficile: possibile che una persona sola, senza complici, abbia truffato il mondo intero?
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